Il viaggio ha inizio il mese di maggio del 2007 sul Clapier alla ricerca di tracce del passaggio di Annibale, quasi un gioco, per gli affaticati scalatori, un po’ scettici e divertiti all’idea che degli elefanti, (ma chi l’ha davvero verificato?) siano passati da là. Com’è stato possibile? Chi l’ha mai storicamente provato?
Dare risposte a queste domande dopo una serie di coincidenze che rendono le pagine di Polibio dedicate al passaggio di Annibale non sembra importante. Ma proprio qui, guardando dall’alto la Val di Susa e scorgendo Torino nasce in Rumiz l’idea di ripercorrere interamente il percorso compiuto da Annibale, colui che, pur infine sconfitto, è riuscito a entrare nella storia.
Chi sono io, recita Rumiz, per sovrapporre la mia insignificante ricerca interiore all’enormità di un evento millenario? Sarebbe un insopportabile arroganza. Eppure l’emozione di oggi è vera ed è degna di essere narrata. Ventidue secoli sono un soffio, nella storia dell’uomo. Ripenso ai racconti dei miei nonni, e mi accorgo che si, c’è ancora un filo rosso che mi collega all’antico. Non so se per i miei figli sarà lo stesso, in questa società che uccide il tempo con la super velocità telematica.
Ventimila chilometri. Dopo l’Africa, la Spagna. La Francia e un epopea italiana durata quindici anni la storia non finisce con la battaglia di Zama, a sud di Tunisi. Annibale continua a viaggiare per altri venti anni fino a che, braccato dai romani che lo inseguono e tradito da un suo anfitrione si uccide con il veleno per non farsi catturare.
Ecco , molto brevemente, l’itinerario che si percorre assieme a Rumiz in questo libro, guidati dalla sua scrittura affascinante e coinvolgente.
Si parte dall’isola di Sant’Antioco, battuta dal vento africano, di certo più vicina all’Africa che a Roma che volle rubarla a Cartagine per il suo valore strategico.
Bisogna qui ricordare, a onor del vero, che la sconfitta di Zama non conclude lo scontro epocale con i Romani. Annibale va in Grecia, a Creta, in Armenia e infine al Bosforo dove conclude la sua vita gloriosa, diventando eterno nel mito.
Nulla resta invece nella memoria diffusa di colui che fu il vincitore, Scipione. Evidentemente non sono le vittorie a determinare il peso nell’immaginario degli uomini, a trasformare la storia in mito. È quella straordinarietà dell’agire di cui Annibale fu interprete.
Comincio a credere, dice ancora Rumiz, cosa e chi sto cercando, forse Annibale non è un uomo, è una malattia. E noi siamo solo gli ultimi di una processione di allocchi venuti in pellegrinaggio su queste pietraie alla ricerca del nulla.