Mi è capitato, recentemente, di rileggere, è questo uno dei miei difetti, quello cioè di leggere nuovamente gli stessi testi, un libro che, a mio avviso, quando è uscito, nel 2002, è passato inosservato ai più.
Credo, ormai sono avvezzo a maneggiare libri, di aver capito anche il perché di questa “uscita in sordina”: il volume in questione non è uno di quelli in grande formato, con belle fotografie su carta patinata, e non ha nemmeno, ad esser sinceri una immagine molto accattivante in copertina.
Ma di questo, e conoscendo bene l’autore, non mi sono fatto meraviglia, anzi, mi sarei stupito del contrario se, cioè, Enrico Camanni avesse pensato, e scritto, un libro di quelli definiti “consumistici”.
Non sarebbe stato nel suo stile; ne, tantomeno, nel suo modo di raccontare la montagna e di renderla più conosciuta, finanche nelle sue pieghe più nascoste.
Abbiamo avuto modo di apprezzare Camanni quando dirigeva la prestigiosa rivista L’Alpe, della quale la casa editrice ha deciso di interrompere la pubblicazione. Chi quella rivista ha avuto modo di leggerla sin dal primo numero si sarà certamente reso conto che lui, il direttore, non è certo il tipo che mira a dirigere testate di vasta diffusione, di ampio respiro ma di pochi contenuti. I luoghi, libri o giornali che siano, ove la “montagna luna park” viene enfatizzata non entrano di certo in quelle che si possono definire le sue aspirazioni, anzi! Ma torniamo al testo in questione: la nuova vita delle Alpi, pubblicato per i tipi della Bollati Boringhieri in formato, dicevamo già all’inizio, poco appariscente.
Ma, come spesso accade, è proprio nei libri dall’apparenza insignificante che si trova concentrata buona parte della cultura, testi come quello di Camanni meriterebbero una ben più ampia condivisione.
Non è un libro che parla degli ormai endemici problemi delle Alpi con l’enfasi di tanti altri autori né proponendo radicali o, peggio ancora, drastiche soluzioni. “…Una convincente analisi delle possibilità per le Alpi di diventare teatro di un diverso modello di sviluppo in grado di conciliare la difesa dell’ambiente con le ragioni dell’economia, la specificità alpina con il turismo, la tradizione con la modernità ed impedire che il territorio alpino si trasformi in una provincia della pianura o in un parco-museo a uso dei cittadini…”, così ha scritto in una splendida recensione Davide Squarcina.
Camanni propone, praticamente, di percorrere una terza via per dare un futuro al mondo alpino. Una via capace di uscire dalle contrapposizioni di due visioni radicali condivise da molti dei cosiddetti “operatori” che, a vario titolo gravitano in questo mondo particolare: da una parte i fautori della ideologia tradizionalista, che mira ad una “museificazione dell’ambiente alpino e della sua civiltà tradizionale, a scopo conservativo e a beneficio turistico… quasi un voler far tornare indietro la ruota della storia”; e, dall’altra la spinta modernista, l’idea di un progresso continuo che soddisfi una sempre crescente domanda turistica portatrice di sviluppo illimitato. Esempi di questa “terza via” sono le decisioni, adottate in alcune comunità alpine, di prendere misure che controllino il traffico sul loro territorio, abbandonando “la monocultura dello sci che uccide ogni altro sviluppo possibile”, rivalutando la gastronomia del luogo contro l’omologazione dei supermercati.
Altro punto cruciale, ben esposto da Camanni, è quello che riguarda i trasporti: una lucida analisi pone l’accento sui “costi veri” del trasporto su gomma, (tre milioni e mezzo di camion transitano ogni anno oltre le Alpi, da Ventimiglia a Tarvisio): “L’attuale scambio delle merci è vincente perché le spese (i “costi veri”) relative all’uso delle infrastrutture stradali, ai danni dell’inquinamento sulle persone e sull’ambiente, ai costi sociosanitari imputabili agli incidenti stradali, non vengono pagati dagli autotrasportatori ma dalla collettività”.
Si potrebbe continuare ad illustrare il bel libro di Camanni, ma, volutamente, qui mi fermo, sperando di aver svegliato in voi la curiosità verso questo nuovo modo di leggere i problemi che affliggono il patrimonio alpino. Prima di chiudere, però, una precisazione che mi pare doverosa, dopo che ho riletto il testo: parlando, all’inizio, del libro, ho forse esasperato un tantino le qualità editoriali a mio avviso negative; questo non significa però che esso sia…brutto! Non ci sono libri brutti, e poi, la bellezza è un fattore molto soggettivo.
Prova ne è quanto ebbe a dire a suo tempo Voltaire: “chiedete al rospo che cosa sia la bellezza e vi risponderà che è la femmina del rospo”.
Buona lettura a tutti e alla prossima.